TRE CIVETTE SUL COMÒ – i giochi: primo strumento d’indagine di sé e del mondo

“Il mio gioco era dettato dallo stesso impulso che ebbe l’uomo primitivo a crearsi divinità per non avere paura, per non sentirsi solo, per darsi una ragione, una spiegazione, un punto di riferimento che sostituisse la madre da cui era stato eviscerato e dalla quale fu per anni nutrito e difeso. Io ero quell’uomo (o donna, poco importa) che scolpiva la Venere di Willendorf, che seppelliva i suoi morti con ghirlande di fiori e ossa di animale, che venerava amuleti all’interno di nicchie.”

Nella convinzione che esista un parallelismo tra l’evoluzione di un essere umano durante la sua vita e l’evoluzione dell’umanità nel corso della storia, ho preso in esame i giochi, insieme al disegno prima espressione di un individuo. Tra questi ho privilegiato quelli estemporanei, quelli che io e mia sorella ci inventavamo sul momento, ispiratici da qualcosa che ci capitava tra le mani o che avevamo visto, giochi con un tempo di scadenza, che più che giochi potevano rientrare nell’ambito della recita, della creatività manuale, della sceneggiatura, o toccare sfere ancora più alte senza che noi ce ne rendessimo conto: religione e speculazione filosofica. Ci addentravamo in spazi metafisici, onirici, fantastici alla ricerca di verità superiori, che trascendevano la famiglia, fonte a volte di amarezze e disillusioni. Questo non perché Bruna ed io fossimo più dotate degli altri bambini: sto facendo riferimento a tutti gli esseri umani, perché tutti abbiamo le stesse pulsioni, gli stessi istinti ancestrali, quelli dell’uomo primitivo, che lo hanno spinto verso orizzonti sempre più lontani, verso il trascendente e l’infinito.

Ogni capitolo è corredato da una illustrazione. La tecnica che ho adottato è quella del tratteggio a china. Lo stile fantastico-surreale dei disegni esalta la versione eroica, onirica, border-line che i ricordi restituiscono della realtà. Il disegno è stato la tecnica perfetta per rappresentare ciò che sta al capo opposto dell’inizio, e cioè la sintesi, ciò che resta di quello che si è progettato e vissuto: il ricordo.

 

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TRIPLO TOUCHE! – Un batterista in giro per l’Europa tra gli anni ’60 e ’70

“Nel giugno del ’67 Nevio è al Casinò di Montreux, in Svizzera. Questo, diversamente da quello di Cannes, ha un night club fra i cui tavoli incedono sinuosamente le entraîneuse. Durante lo show, che inizia a

mezzanotte, dopo il balletto, i comici ed i prestigiatori, si esibiscono le spogliarelliste.

Dietro le quinte ognuno ha il suo camerino e nei corridoi si incrociano musicisti ed artisti di varietà. Lì si scambiano racconti di vita e si intrecciando amicizie e relazioni. Arrivano signorine un po’ sciatte in anonimi cappottini grigi, che si lamentano dell’affittacamere che ha dato loro l’ennesimo ultimatum. Si siedono davanti allo specchio e, continuando a parlare nervosamente, si truccano e si vestono trasformandosi in splendide femme fatale. In scena, poco dopo, si sfilano con lasciva lentezza ciò che hanno appena indossato frettolosamente…”.

Il libro racconta la vita di un musicista di una piccola provincia italiana catapultato, negli esplosivi anni sessanta e settanta, in città europee di respiro internazionale, in locali di grido (casinò, night club, dancing, hotel e ristoranti a 5 stelle) frequentati da personaggi famosi e ricchi magnati. Sono efficacemente tratteggiati episodi emblematici di una vita leggera, frivola, che sembra galleggiare sopra un mondo lacerato da conflitti devastanti: dal Sessantotto al Vietnam, dal terrorismo di destra e di sinistra ai delitti di mafia. Le numerose note approfondiscono temi quali l’emigrazione, il razzismo, la prostituzione, l’emancipazione femminile, l’evoluzione dei gusti musicali e la crisi delle orchestre da night.

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Sketchbook-viaggio tra persone e cose

“Nei giorni successivi mi misi all’opera cercando ispirazione nelle foto di bisnonni ed in quelle d’epoca trovate su libri e su internet: ne risultò il volto di un uomo x, un uomo nuovo, mai esistito, la controfigura di quello che fu, di quello che come tutti soffrì, lavorò, lottò per la sopravvivenza, godé del corpo caldo di una moglie, pianse forse la perdita di un figlio piccolo, gioì per la nascita di un nipote, sopportò le malattie e la vecchiaia, sperimentò la morte…”

Gli episodi raccontati nel libro, tutti realmente accaduti, sono semplici, brevi, quasi dei canovacci, apparentemente banali per chi non sappia coglierne l’essenza, per chi si fermi a ciò che è detto o fatto senza indagare, per quanto possibile, su quell’attimo assoluto e irripetibile in cui due o più persone si intersecano intimamente, rivelando l’una all’altra spazi della loro anima e della loro storia.

Tutti i fatti strani, inspiegabili, le coincidenze, gli accadimenti quasi magici che avvengono nelle relazioni tra le persone, sono frutto dell’uomo stesso, della sua capacità di indurre gli eventi con parole e gesti impercettibili, inconsci o meno, e nell’altrettanto spiccata capacità di cogliere tali espressioni negli altri, anche inconsapevolmente. Questo non toglie fascino a tali situazioni, che tanti ascrivono a volontà che ci prescindono, anzi lo potenzia perché ancora una volta l’essere umano dimostra la mirabile complessità delle sue facoltà mentali ed espressive, che ognuno di noi possiede. Non serve essere scienziati o artisti per godere della bellezza dell’esperienza umana, per vivere l’essenza di episodi irripetibili, per partecipare con pienezza alle connessioni umane, anche se brevi, brevissime, della durata di un acquazzone sotto una tettoia insieme a sconosciuti che, con noi, tra gridolini e risate, hanno cercato riparo.

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